Il soggiorno a Grana del Cappellano militare non fu molto lungo, in quanto vi giunse nel settembre del ’43 e il 1° novembre del ’44 prese possesso della Parrocchia di San Candido di Murisengo. Erano tempi di gente sfollata dalle città per sfuggire ai continui bombardamenti e sebbene quello di Grana sia stato un periodo breve, fu molto intenso, con ricordi che restarono impressi per sempre nella memoria del sacerdote.
“La guerra continua”, aveva proclamato Badoglio dopo la destituzione di Mussolini e la guerra continuò, anche quando il Re e Badoglio, con tutto il seguito, fuggirono al Sud, abbandonando buona parte dell’Italia in balìa dei tedeschi e delle milizie della Repubblica di Salò, che Mussolini aveva fondato per cercare di sfuggire alla sua fine ormai vicina.
I giovanotti fuggiti a seguito dell’armistizio e renitenti ad arruolarsi nel nuovo esercito erano la maggioranza ed erano costretti a vivere privi di tessera annonaria, necessaria per procurarsi i generi alimentari, in quanto la loro posizione era illegale. Vivevano per di più nascosti per timore delle scorribande repubblichine che avrebbero comportato la loro cattura e conseguente condanna.
Fu questa la situazione che facilitò il sorgere dei movimenti partigiani che si proposero di liberarsi dal dominio di tedeschi e fascisti con la forza delle armi. Nelle città sorsero i Comitati di Liberazione Nazionale (C.L.N.) formati da rappresentanti di tutti i partiti politici che stavano risorgendo dopo la caduta di Mussolini. E l’obiettivo era unico e comune: la fine della guerra e del regime fascista.
Grana fu un paese che si mosse per primo e grazie al coraggio di un suo cittadino che raccolse intorno a se un gruppo di volenterosi, provenienti anche dalle città, cominciò ad agire legandosi alle “Formazioni Matteotti” di ispirazione socialista e già operante in altre zone. La testimonianza che segue, però, lo stesso Cappellano non è stato in grado di attribuirla con esattezza a quella formazione partigiana oppure ad altri gruppi.
Resta il fatto che una notte del maggio ’44, verso le due, in Parrocchia il Cappellano e il Parroco furono svegliati dal forte rumore del batacchio della porta della Canonica. Sbirciando dalla finestra i due Sacerdoti videro un gruppo di uomini decisi ad entrare. Andò ad aprire il Parroco e il Cappellano mentre scendeva le scale si trovò di fronte un mitra spianato. Erano giovanotti col volto coperto che stavano mettendo a soqquadro la canonica in cerca di armi, ma ovviamente non trovarono nulla. Prima di andarsene, quello che doveva essere il capo ordinò al Parroco di lasciare per sempre la Parrocchia e al Cappellano di starsene lontano da fascisti e tedeschi, anche se nessuno dei due aveva dato motivo di tale ammonizione.
Dopo aver richiuso la porta i due religiosi si misero a commentare l’accaduto, ma poco dopo sentirono nuovamente il battere del batacchio: il Parroco riaprì l’uscio e trovò davanti a sé due partigiani che gli restituirono un orologio e altre cose che avevano sequestrato durante la perquisizione. Il Cappellano sottolineò che il gesto faceva loro onore perché li distingueva dai ladri ed ebbe l’impressione che le sue parole fossero molto gradite.
La mattina successiva, in osservanza all’ordine ricevuto, il Parroco lasciò la Parrocchia e si rifugiò nel collegio di Penango, presso la Congregazione Salesiana, e il nostro Cappellano si trovò a capo della Parrocchia, senza avere ricevuto alcuna istituzione canonica. Periodicamente si recava a riferire al legittimo titolare ciò che avveniva in paese, finché circa quindici giorni dopo il Parroco fece ritorno in paese accompagnato da alcuni componenti del Comitato di Liberazione Nazionale di Torino. E, alla presenza dei capi del partito comunista e socialista di Grana, in virtù di un articolo dello statuto del C.L.N. che prevedeva di evitare qualsiasi scontro con i sacerdoti, il Parroco da quel momento fu riabilitato nella sua carica.
Pertanto, è il caso di citare le precise e ironiche parole del Cappellano, “la prima grana fu felicemente risolta”.