In epoca medievale il concentrico di Grana era separato dal resto dell’abitato da una importante cinta muraria, ma intorno al 1555, la data è incerta, il governatore francese Raimondo di Salveyson ordinò che fosse abbattuta onde evitare che le mura potessero offrire rifugio ai nemici.
Furono in parte ricostruite verso la fine del 1500, ma le numerose vicende belliche che si susseguirono fino ai primi del 1700 le ridussero, insieme al castello che racchiudevano al loro interno, a quelle che Giacomo Giacinto Saletta nella sua pubblicazione “Ducato di Monferrato” definì “qualche vestigia”.
E sono numerose le testimonianze scritte a proposito di quei resti, a cominciare dal Niccolini citato nella sezione “Grana-cenni storici, terza parte”, mentre al contrario mancano notizie di interventi mirati al loro consolidamento, per i quali bisogna arrivare ai primi del 1800.
Infatti, il 15 maggio 1816 il Consiglio Comunale ha ritenuto “necessario che si divenghi al rinnovamento e fattura del muraglione posto nel recinto di questo luogo nella vicinanza della chiesa parrocchiale, e che sostiene la pubblica strada che conduce alla chiesa e per la quale non si può transitare”. E poco più tardi, il 20 giugno, il sindaco reputava “ essere cosa urgente e necessaria doversi subito atterrare parte del muraglione posto a presso del fosso comunale… minacciante un giorno o l’altro rovina, con danno alle bestie che si portano ad abbeverare e dei passeggeri che passano per la strada ivi attigua”. In entrambe le circostanze i danni erano dovuti alle forti piogge dell’inverno trascorso.
Nel marzo 1841 tal Giuseppe Gario, proprietario di un stabile “consorte un gran muro… di spettanza della comunità”, in un esposto all’Intendenza denunciava il pericolo di crollo, ma il Consiglio di fatto non prese alcuna decisione in quanto ritenne fosse da accertare la vera pertinenza del muro, essendo aperta una causa con il feudatario duca D’Aremberg da oltre trenta anni. Al riguardo resta fondata la tesi che sia stato il Comune ad accollarsi le spese inerenti le opere di ricostruzione e ripristino del vecchio sostegno al recinto. Da vecchie mappe dell’epoca napoleonica risulterebbe che tale proprietà fosse in adiacenza al vecchio castello feudale, ben visibile alla particella n. 760 nella foto pubblicata sotto.
Si arriva al luglio del 1843, quando al capomastro Capello fu richiesto di procedere alla costruzione di un muro in contrada Bollazzo prima della brutta stagione e che comprendesse la realizzazione di due scale in pietra per un comodo accesso alla chiesa parrocchiale. Fu anche richiesta la costruzione di un muro “attiguo alla ghiacciaia”, quest’ultimo non molto duraturo, stante la citazione in giudizio da parte di Cesare Benso per i danni subiti dal figlio caduto accidentalmente in quella ghiacciaia.
Nell’aprile del 1883 il Consiglio richiedeva all’autorità tutoria “la costruzione di un muro di sostegno della Via del Palazzo” quale opera indispensabile e un mese e mezzo dopo la Giunta ribadiva tale necessità essendo richiesta da diversi anni dai proprietari delle case attigue, ma anche perché la suddetta via mancando di terrapieno veniva con le piogge costantemente corrosa e resa impraticabile. Inoltre la costruzione del muro con relativo parapetto avrebbe evitato incidenti del passato come la caduta di diversi ragazzi e anche di un vitello, fortunatamente senza gravi conseguenze.
L’otto aprile 1887 il Consiglio deliberava la “ricostruzione del muro attiguo all’asilo”, opera ritenuta necessaria per la sicurezza e per l’abbellimento del paese e poi bisogna attendere il 17 aprile del 1911 per la sistemazione di un tratto di muraglione di corso Vittorio Emanuele nei pressi del peso pubblico, opera già rimandata dalla precedente Amministrazione per presumibile mancanza di fondi. In merito a quell’opera erano esistenti una serie di questioni che riguardavano la proprietà di un terreno che si estendeva dal peso pubblico alla casa di un tal Francesco Acuto e dopo i lavori di consolidamento in quel luogo avrebbe dovuto nascere una “graziosa piazza” che stava molto a cuore alla popolazione.
Dopo la realizzazione del muraglione di corso Vittorio Emanuele, nel marzo 1912, venivano presentate in Consiglio le richieste di Pietro Garrone, che chiedeva di aprire nel muro prospiciente la casa Comunale una apertura di accesso alla propria cantina, e di Pietro Testa, che intendeva aprire una arcata per mettere al riparo attrezzature agricole. Nella successiva seduta che si tenne in maggio la richiesta del Testa venne respinta, ritenendo che si potessero creare pericoli per la via soprastante, mentre fu accolta quella del Garrone, ritenendo che fosse legittimo concedere l’accesso alla sua cantina, senza al contempo creare danno al suolo pubblico.
Nel 1921 si intervenne con la riparazione di parti di muraglioni dell’antico recinto nei pressi del piazzale dell’Annunziata. Tra quello stesso anno e il 1922 fu redatto un progetto di alienazione di un sito in via Stefano Varvello a favore di Giuseppe Badella, il quale si impegnava ad erigere un muro contro la scala che conduce alla chiesa parrocchiale, peraltro bisognosa anch’essa di manutenzione.
Un altro intervento si rese necessario nel 1932, quando il Comune era in gestione podestarile, al muro di appoggio alla gradinata e al piazzale della chiesa parrocchiale per un grave cedimento. Al termine del secondo conflitto, precisamente nel novembre del 1946, si dovette procedere d’urgenza nei confronti del muro di sostegno in corso Vittorio Emanuele, onde mettere in sicurezza la pubblica via e le abitazioni soprastanti.
Nel novembre del 1948 il Consiglio Comunale concesse a Giuseppe Testa fu Evasio il diritto di costruire sul muro di Piazza della Libertà, retrostante il peso pubblico, per una lunghezza di 10 metri. A suo carico restava la manutenzione ordinaria e straordinaria della nuova opera e di quella ordinaria del muro comunale.
Si arriva in epoca moderna, precisamente nel 1960, quando si rende necessario un intervento volto a consolidare l’abitato nel tratto di muro compreso tra via Varvello e via Roma, seriamente minacciato da frane. Gli antichi muri, alti circa sei metri, erano in parte caduti e quel che rimaneva versava in precarie condizioni. Fu pertanto proposta la demolizione di ciò che era pericolante e la costruzione di un tratto lungo 55 metri in due porzioni di 31 e 24 metri in calcestruzzo, per una spesa di circa 7 milioni di lire.
L’ultimo intervento risale al 1967, quando sindaco era Bianca Dessimone e a seguito di un violento nubifragio del 9 maggio 1966 la zona di via Stefano Varvello e l’attigua piazza costituiva un “costante pericolo sia alle persone che alle cose, prima fra tutte il sagrato della Chiesa Madre”. Vano era risultato il rimboschimento, poiché la scalinata che porta alla chiesa era impraticabile per il parziale crollo del muro di sostegno, e fu pertanto approvata la perizia del geometra Arturo Marchisio che proponeva l’abbattimento della scalinata e il suo rifacimento dopo il consolidamento del muraglione di sostegno, per una spesa stimata di 1.772.500 lire.