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Ricordi di un Viceparroco

Segue da Ricordi di un ex Cappellano  5ª parte

Ci sono altre importanti testimonianze che meritano di essere portate alla luce e sono quelle di un Sacerdote ordinato in pieno conflitto, nel 1943. Fu subito inviato ad aiutare il parroco ottantenne di una frazione di Murisengo ormai costretto su una sedia, una comune sedia, perché le moderne sedie a rotelle erano un lusso per l’epoca. Il giovane prete ha cercato di fare il suo dovere filiale verso quel Sacerdote tanto buono, poverissimo e molto provato dalla sofferenza.

Negli ultimi mesi, prima della morte, le piaghe da decubito lo avevano ridotto in uno stato pietoso e il dottore locale, che lo assisteva con molta competenza e premura, aveva affidato lui, infermiere del Regio Esercito che non aveva mai fatto neppure un’iniezione, il compito di medicarlo almeno tre volte al giorno. Operazione molto dolorosa che il giovane religioso compiva prima dei pasti, perché farla dopo sarebbe stato un doppio problema…

Trascorsi appena due mesi dal suo arrivo in quella frazione, due militari di leva facenti parte di un convoglio in transito da Casale a Torino andarono  a sbattere con la famosa “Gilera 8 Bulloni” (vedi foto di apertura) contro un camion di ghiaia, nei pressi della Chiesa Parrocchiale. Si era in tempo di guerra e la lontananza da Casale non ha consentito all’ambulanza militare di arrivare velocemente. Così il dottore del paese ha messo addosso al Sacerdote un camice bianco e si fece aiutare a togliere terra e ghiaia da quelle povere membra straziate.

E per il giovane prete fu il primo impatto con la guerra, dopo le fughe e gli allarmi aerei in Seminario.

A settembre ebbe inizio la formazione dei primi gruppi di Resistenza e in Val Cerrina diverse formazioni avevano attirato l’attenzione dei Tedeschi e dei Repubblichini. I contatti del nostro giovane prete con i componenti della formazione di stanza nei dintorni di Villadeati, seppure occasionali, gli consentirono di conoscere il loro comandante e anche un tedesco fatto prigioniero e diventato partigiano.

I suoi dubbi in merito furono subito molti e li manifestò anche ai partigiani, raccomandando loro la massima prudenza. Le sue riserve non erano purtroppo infondate e infatti pochi mesi dopo il “finto” partigiano fuggì e la conseguente strage di Villadeati ne fu la terribile conseguenza. Dalla Parrocchia dove era Viceparroco sentì bene la scarica di armi da fuoco che lui pensava fosse una delle tante sparate per intimidazione prima di lasciare il paese dopo la razzia e invece fu quella che freddò i nove abitanti di Villadeati insieme al loro Parroco.

Appena un’ora dopo, finite le sparatorie a valle, insieme al Parroco di Murisengo si recò in Parrocchia a Villadeati, dove avevano appena ultimato la pulizia e la composizione della salma. In mano gli avevano messo il breviario che aveva fermato il colpo diretto al cuore ed era ben visibile la ferita al mento e il foro del colpo di grazia. Poco prima di loro era arrivato il Parroco di Zanco, ma essendo anche lui condannato a morte dovette allontanarsi al più presto.

Il Vescovo era venuto il prima possibile, il giorno dopo, su una vecchia automobile scassata e al mattino era stato a colloquio con il tristemente famoso Maggiore Mayer che aveva permesso i funerali in chiesa, che dovevano però celebrarsi senza canti, né discorsi. Fu subito un problema trovare quaranta persone per portare a spalle le dieci bare e il defunto Parroco si decise che fosse portato dai sacerdoti delle località più vicine. Chi ha lasciato queste testimonianze era il più giovane sacerdote e fortunatamente non figurava ancora sulle liste nere di fascisti e nazisti.

A San Candido, nel frattempo, era stato ucciso il mugnaio con una sventagliata di mitra mentre tentava di fuggire per i campi e al figlio diciassettenne, che sognava chissà quale avventure per il solo possesso di una pistola, era stata consigliata molta prudenza, ma si può immaginare quale dovesse essere il suo stato d’animo dopo il tragico avvenimento. Sovente passavano nella vallata colonne di tedeschi e repubblichini, si sentiva qualche sparatoria, ma, a parte le fughe nei boschi quando si sentivano arrivare, nella zona non c’era altro da ricordare.

A inizio novembre di quell’anno il Sacerdote fu nominato Viceparroco a Grana e dopo pochi giorni, il 14, avvenne il rastrellamento con la barbara uccisione di due partigiani del paese. Il Parroco, che era Don Raiteri e aveva già attraversato numerose traversie, non aveva neanche avuto il coraggio di compilare i certificati di morte e le salme furono benedette al Camposanto e non in Chiesa, con pochissime persone, visto il divieto tassativo dei tedeschi. Si può solo immaginare quale potesse essere lo stato d’animo di tutti in quei giorni, ma si può certamente dire che a Grana siano stati momenti veramente duri e difficili.

Pochissimi giorni dopo vi fu un’altra sparatoria in paese, vicino alla Chiesa di San Rocco, che ha visto coinvolto un commerciante di vini di Torino che imprudentemente aveva chiesto una scorta militare. Vi fu un’intensa sparatoria seguita da una trattativa, si parlò di soldi e si fecero altri accordi, ma la scorta, a quanto ricorda il Viceparroco, è stata fermata nel viaggio di ritorno da altri gruppi di partigiani e forse non è mai rientrata alla base. E così, con questi fatti tumultuosi e purtroppo luttuosi ebbe inizio il ministero del giovane Sacerdote a Grana.

Gli furono sin da subito assegnati i giovani, e di giovani ce n’erano veramente molti, essendo presenti a Grana tantissimi sfollati. Purtroppo non erano molte le iniziative che si potevano mettere in atto nell’Oratorio e un problema assillante era quello dei rapporti con i partigiani, a cui chiese immediatamente di prestare massima attenzione con le armi. La loro leggerezza poteva uccidere, come purtroppo avvenne, e li pregò di non presentarsi mai in Oratorio armati.

I rastrellamenti erano frequenti e per fortuna i partigiani avevano capito sulla loro pelle che la tattica migliore era quella del “mordi e fuggi”. I contatti avuti con il loro comandante erano sempre stati rivolti ad ottenere prudenza e serietà, in quanto erano arrivati anche a lasciare delle armi incustodite sul piazzale della Chiesa dove giocavano i bambini. Non mancarono i rastrellamenti che videro coinvolta anche la casa parrocchiale, rovistata in più occasioni in cerca di armi.

Durante uno di questi un Caporalmaggiore, non più giovanissimo e assai robusto, vedendo degli opuscoli recanti sulla copertina “il sol dell’avvenire” accusò il Parroco di essere un “prete comunista”. E dire che in paese c’era chi lo accusava di essere un “prete fascista”! Il Viceparroco era nella sua stanza e stava scendendo le scale con l’aiuto di un bastone a causa di uno stiramento muscolare rimediato durante una partita con i giovani e giunse appena in tempo per salvare il suo Parroco da un pugno che il tedesco gli stava sferrando.

A quel punto affrontò il tedesco con piglio deciso e disse di volere parlare con il Comandante della spedizione. Contemporaneamente mostrò il libretto incriminato e gli disse che poteva anche leggere, se fosse stato in grado, il contenuto. La fermezza di quel “ragazzo in tonaca”, in effetti era poco più che un ragazzo, raggiunse lo scopo desiderato e il Caporalmaggiore scese a più miti consigli, chiese scusa all’Arciprete e se ne andò con animo più calmo.

A Casale, Asti, Alessandria e Valenza, sede dei comandi tedeschi e repubblichini, c’era il terrore della “banda di Grana” e del suo Comandante e così arrivavano sempre molto numerosi, armati di tutto punto e dotati di radiotelefono per chiedere rinforzi e magari fare intervenire gli aerei, se si fosse reso necessario. I partigiani erano ormai bene organizzati e dalle mura del castello di Montemagno, sparando all’impazzata, avevano addirittura fermato una colonna di tedeschi sulla salita che proviene da Altavilla. E quando i tedeschi entravano in paese loro erano ormai al sicuro nei boschi, evitando guai al resto della popolazione.

C’è stato un Ufficiale tedesco che ha cercato di far parlare il giovane Viceparroco, convinto che sapesse molte cose. Ed è emblematico uno scambio di battute tra i due al riguardo: “sappiamo che ci sono molti partigiani in paese!”, disse l’Ufficiale. “Se non ci fossero voi non sareste qui”, fu la risposta. “E dove sono?” ribatté il tedesco. “Sono come l’araba fenice”. Ma forse la risposta non fu capita!

Negli ultimi mesi si era unito ai partigiani un tale “Capitano Jonn” (un presunto americano che si firmava così, tradendo in questo modo le sue origini certo non d’oltreoceano) che aveva il compito di coordinare i movimenti partigiani in zona. I rastrellamenti dal novembre ’44 alla Liberazione furono ancora una decina, ma, per fortuna, senza gravi conseguenze e in ogni caso quando arrivavano i tedeschi i partigiani erano ormai scomparsi e a rimanere sul posto erano i sacerdoti. Non erano pochi, inoltre, i giovani che, se scoperti, sarebbero stati inviati nei campi di concentramento o, peggio ancora, passati per le armi.

Il 25 aprile 1945 fu veramente festa di Liberazione, con pranzi e allegria a non finire e tutti a quel punto si scoprirono partigiani, difensori e salvatori della Patria. In primo luogo, forse, quelli che nulla avevano sofferto o rischiato. A Casale furono catturati e fatti prigionieri un numero rilevante di esponenti fascisti e di persone che occupavano cariche pubbliche, come ad esempio il Colonnello del Distretto Militare. Per due giorni furono rinchiusi in una casa di Grana, ma intervenne il C.L.N. che li portò via per essere processati, escludendo i partigiani da qualunque decisione in merito. Ed è in quel breve periodo che toccò ancora al giovane Viceparroco portare buoni uffici affinché non prevalesse lo spirito di vendetta.

A Grana era presente in incognito, come sfollato, il Colonnello Macis che era presidente di tribunale militare e membro del C.L.N. e anche lui, con molta discrezione, ha sempre cercato di evitare vendette personali o di gruppo. I partigiani stessi, chissà quanti sapessero chi era veramente, gli hanno sempre portato molto rispetto.

Lo stesso Colonnello ha stilato una dichiarazione, che si può vedere nella pagina dei documenti storici di questa sezione, nella quale sono citate le donne di una famiglia granese, molto attive nel sostenere i movimenti di resistenza. Si tratta di una dichiarazione su carta intestata del C.L.N. che sarebbe potuta servire anche per sostegni economici, ma non fu mai usata. Risulta invece che altri abbiano fatto dichiarazioni fasulle e che se ne siano poi serviti.

Il Parroco è stato segnato nel fisico da tutti quegli avvenimenti e il suo senso di smarrimento, ne lascia testimonianza il giovane Viceparroco, “fu combattuto solo da un totale abbandono in Dio e nella Madonna. L’ideale di libertà è bello e grande, ma poi, tradotto nella vita pratica di quei tempi, ha avuto dei risvolti che non sempre è utile ricordare, ma al contrario è bene coprire con un velo di bontà”.

Il tempo mette a posto tante cose e oggi, a distanza di tanti anni, quando si celebra il 25 Aprile diventa difficile ricordare quei momenti terribili e gli stessi nomi dei caduti lasciano quasi nell’indifferenza. Anche in questo caso l’uomo di chiesa si augura e augura a tutti noi “che non ritornino mai più tempi così tristi” e al contempo auspica che “chi leggerà queste testimonianze possa trarne qualche motivo di vita”.

Continua su Ricordi di un partigiano

 
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Ultimo aggiornamento: 16/03/2023
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