Considerazioni sulle camminate di Don Bosco in Monferrato e sulla vicenda della pioggia a Montemagno

Prime annotazioni:

Nelle  diverse Memorie Biografiche su Don Bosco è presente un apposito paragrafo su Grana, dove si narra della passeggiata di Don Bosco del 9 ottobre 1862, durante la quale, con i suoi ragazzi, passò da Grana senza farvi sosta. Si parla anche della curiosa vicenda, risalente intorno al 15 agosto del 1864, che riguarda la pioggia su Montemagno, la irridente ironia degli abitanti di Grana e la grandine che cadde su Grana in una sorta di “castigo”.

Alcune precisazioni sono d’obbligo su entrambe le notizie, precisazioni che sono la naturale deduzione dalle testimonianze di Don Guido Raiteri, parroco a Grana dal 1929 al 1954 e organizzatore nel settembre del 1934, precisamente dal 5 al 9, di solenni festeggiamenti in onore di San Giovanni Bosco, in seguito alla sua canonizzazione da parte di Papa Pio XI il 1° aprile di quello stesso anno, così come ampiamente descritto nei documenti originali sopra riportati.

Si può leggere, ad esempio, che nel 1862 Don Bosco, non è specificato il giorno, passò per Grana e salì fino alla Parrocchia, ne ammirò l’architettura, il magnifico panorama che si gode da tutto il piazzale circostante (sicuramente tra i più belli di tutto il Monferrato) e con “tutta la sua non tanto piccola brigata si trattenne qualche po’ di tempo nella maggior sala della Canonica per una merenduola”.

Don Raiteri precisa anche, per onor di verità, che sebbene quanto riportato non trovi riscontro neppure nella più voluminosa biografia del Santo, redatta dal Sacerdote Giovanni Battista Lemoyne, che di Don Bosco fu anche segretario, assicura non si tratti di supposizione, ma di “storia genuina”, raccontata dalla viva voce del Prof. Don Francesco Varvello, sacerdote salesiano nato e cresciuto a Grana e in vita all’epoca in cui Don Raiteri scrisse quelle note. Giova ricordare come Don Varvello fu educato alla scuola di Don Bosco in Valdocco e conobbe molto bene, non solo il Santo, ma anche Don Rua, Don Cagliero, Don Durando, Buzzetti, Pelazzi ed altri che, da giovani, avevano fatto con Don Bosco la gita da Castelnuovo a Villa S. Secondo, a Calliano, S. Desiderio, Grana, Montemagno, Vignale, Mirabello, ecc. Al riguardo è simpatico menzionare come molti di coloro, ricordando le origini dello studente Varvello, gli raccomandassero di “non piantare grane”, ricordando al contempo il suo paese, encomiandone la ridente posizione, l’artistica Chiesa e il salone in cui erano stati festevolmente accolti da Don Giuseppe Pastore, parroco a Grana dal 1852 al 1863.

Quanto precisato per ciò che riguarda il passaggio di Don Bosco a Grana nel 1862. Resta da prendere in esame la vicenda della pioggia su Montemagno e della grandine su Grana, accettabile quale storiella spiritosa, meno se la si vuole ricondurre a fatto di cronaca, ad evento storico.

Don Raiteri, sempre in un documento redatto in occasione dei festeggiamenti in onore del Santo, nel settembre del 1934, descrive a fondo e chiaramente quella vicenda, citando la fonte di quella che si può definire, oltre che inesatta, strampalata notizia. Una notizia divulgata su un “foglietto stampato a Firenze” pochi mesi prima dei festeggiamenti a Grana nel settembre del 1934, quindi 70 anni dopo!

Don Raiteri ricorda come la notizia si riconduca al 1864, quando Don Bosco predicò a Montemagno un triduo in preparazione alla solennità dell’Assunta e promise a chi lo ascoltava la tanto sospirata pioggia in una annata segnata dalla siccità. In quel “foglietto” si raccontava come “nei paesi circonvicini si facevano commenti sarcastici e risa su quella profezia; anzi nel paese di Grana, per festeggiare la smentita che il tempo avrebbe dato al prete, erasi preparata una gran festa da ballo”. In effetti a Grana si ballò allietati dal suono di una banda, suono che “l’aria portava all’orecchio del predicatore”, nonostante, fa notare Don Raiteri, l’esiguo numero di suonatori, la non piccola distanza tra i due paesi e, aggiungo io, l’impossibilità che il suono di strumenti dell’epoca (1864) privi dei moderni e potenti impianti di amplificazione potesse superare la distanza dei 3 chilometri che separano i due paesi.

Comunque, proseguiva il medesimo “foglietto”, la predica di Don Bosco non era ancora terminata che una benefica pioggia cadde sul territorio di Montemagno, mentre invece su Grana “cadde una grandine terribile che portò via tutti i raccolti” (non certo il frumento già mietuto e trebbiato!), mentre “fuori dei confini di questo comune, in tutti i paesi circostanti, non cadde neppure un chicco di grandine!” Quindi, ci assicura l’autore dell’improbabile racconto, tutti i chicchi di grandine, nessuno escluso, caddero entro i confini del paese di Grana!

Don Raiteri ricordò solamente che il maldestro autore di quel racconto, oltre agli strafalcioni già evidenziati in merito al suono che giungeva agli orecchi di Don Bosco, dimenticò che il 15 di agosto, solennità dell’Assunta, è la festa patronale di Grana e come tutti sanno (tranne il nostro anonimo autore, probabile sostenitore di un campanilismo che sfocia nella rivalità) in tutti i paesi del Monferrato da tempo immemorabile durante la festa patronale si piantava il ballo, generalmente a palchetto, e si ballava senza intenzione di fare dispetto ad alcuno, tantomeno alle popolazioni dei paesi vicini, le quali sono solite, ancora oggi, parteciparvi.

Don Raiteri si astenne dal fare altri più o meno ovvi commenti, ma si limitò a ribattere a quanti sostenevano che si trattasse di un racconto (redatto, ricordo, 70 anni dopo la ridicola vicenda) “storico e stampato” come fosse si storico e stampato, ma anche malamente romanzato e tale da risultare offensivo per entrambi i paesi interessati, cioè Grana, che fa la parte del calunniato e Montemagno che fa la parte del calunniatore.

Il parroco di Grana si dichiarò certo, infine, che gli amici di Montemagno potessero lasciare in disparte, aldilà della pioggia miracolosa, ciò che di falso e di esagerato fu incautamente aggiunto. Ciò per il loro stesso onore e per il riguardo dovuto a San Giovanni Bosco.


Seconde annotazioni:

Si da seguito a quanto sopra descritto con alcune ulteriori precisazioni in merito alle vicende che vedono coinvolto il paese di Grana durante le visite di Don Bosco in Monferrato. Va premesso che tali annotazioni non intendono minimamente mettere in discussioni le Memorie Biografiche esistenti, tanto meno quella imponente di Don Giovanni Battista Lemoyne.

Come anticipato, sono però necessarie e doverose alcune precisazioni in merito soprattutto alla vicenda dell’agosto 1864 riferita alla pioggia miracolosa su Montemagno e alla grandine su Grana, anche se pure l’episodio della visita a Grana di due anni prima merita una puntualizzazione.

Va precisato che a tali annotazioni si è giunti consultando un lavoro di Don Luigi Deambrogio – “Le passeggiate autunnali di Don Bosco per i colli Monferrini” – opera del 1975 custodita dall’Istituto Salesiano “Bernardi Semeria” di Castelnuovo Don Bosco.

Partendo dalla vicenda del passaggio per Grana del 9 ottobre 1862 è vero che le Memorie Biografiche non ne fanno cenno e pure Don Francesia, sicuramente tra gli “ispiratori” di Don Lemoyne, sostiene che “si passa per Grana (…) ma non si ha tempo per fermarsi”, ma, come scrive Don Deambrogio, esiste una testimonianza inedita che la fermata ci fu ed è fornita da Don Francesco Varvello, salesiano e granese.

L’autore sostiene che si tratti di testimonianza inedita perché sconosciuta alla grande stampa, ma è stata pubblicata nel 1934 (come ampiamente descritto nel documento “Note su Don Bosco”” dal Teol. Don Guido Raiteri, allora arciprete di Grana poi divenuto Monsignore e Canonico Penitenziere della Cattedrale di Casale.

Interessante quanto scrive Don Deambrogio al riguardo di Don Francesia: “non ci stupirà che l’abbia negata (la sosta a Grana, N.d.A.) e nello stesso tempo abbia potuto scrivere le seguenti parole << (…) dalla sommità (della collina, n.d.r.) l’occhio contempla un immenso tratto di paese che ritorna ad avere per graziosa ed ammirabile cornice le Alpi e l’Appennino >>, quando si ricorderà che queste parole le ha copiate di sana pianta dal Niccolini” (costui è l’autore del libro di testo “A zonzo per il Circondario di Casale Monferrato”).

Va sottolineato, ed è importante, che quanto descritto da Don Francesia, citando il Niccolini, lo si può ammirare solo dal sagrato della Chiesa parrocchiale di Grana e non transitando per la strada che da Calliano conduce a Montemagno!

Non resta che prendere in esame la più importante vicenda della pioggia e della grandine. Per questo avvenimento Don Deambrogio cita tre fonti: il libro delle Passeggiate Autunnali di Don Francesia, la lettera di Don Porta a Don Lemoyne e le Memorie Biografiche. Mette però in risalto come esistesse anche prima delle fonti citate una “tradizione orale vivida e chiara”.

Evidenzia anche qualcosa di importante e cioè il fatto che pure “l’avere appreso il fatto da testimoni oculari non gli impedisce di raccontare qualcosa di inesatto nelle circostanze, come quando afferma che la predicazione seguita dalla pioggia fu tenuta in preparazione alla Visita Pastorale del Vescovo Calabiana e che detta predicazione non fu solo un triduo, ma un corso più lungo di cui il triduo fu solo la parte finale”. Infatti, in due lettere di Don Bosco alla figlia del Marchese Fassati, datate da Torino l’8 e il 10 agosto 1864, egli preannunciava un suo viaggio a Montemagno per i giorni 13, 14 e 15 agosto. Se quindi il 10 agosto era ancora a Torino la predicazione non poteva essere un lungo corso, ma un breve periodo, di cui il triduo era la tradizionale struttura.

Da notare che Don Francesia in quella sua opera citata, raccontando della passeggiata autunnale del 1862, ad un certo punto scrive: “L’anno seguente, Don Bosco era stato a predicare a Montemagno una Missione (…) per preparare gli abitanti a ricevere santamente la visita del loro Pastore (…) Mons. Calabiana (…), e continua narrando il miracolo della pioggia come annesso a quella predicazione. E poi, dopo aver concluso il racconto del miracolo, aggiunge che Don Bosco scrisse da Montemagno una lettera a Don Rua per assegnarlo primo direttore del Collegio di Mirabello, mentre è noto che il Collegio fu aperto solo il 20 ottobre del 1863. Quindi Don Francesia, pur collocando il miracolo della pioggia in periodo estivo, non ne indica né il mese né il giorno.

Anche la lettera di Don Porta a Don Lemoyne è alquanto approssimativa in merito alla data della pioggia su Montemagno: “Se non erro era la festa dell’Assunta (…) So che era giorno di festa, ma non posso accertare se era l’Assunta. Così non ricordo l’anno preciso”.

Don Deambrogio a questo punto si rivolge al parroco di Montemagno di allora (1972), Rev.do Don Alfonso Patrucco, che lo rassicura sulla data dell’agosto 1864, essendo nel 1863 la Parrocchia vacante da giugno fino ad ottobre, in seguito alla morte del parroco Don Beccaris.

Quindi, già sulle date si evidenziano alcune incertezze e sono tali da ingenerare dubbi anche sul resto della storia, soprattutto la parte innegabilmente e malamente romanzata, come scrisse Don Raiteri riportando una testimonianza di Don Francesco Varvello.

Fatta salva la veridicità della pioggia invocata da Don Bosco, così come anche della grandine su Grana, occorre solo ricordare che non era quella la prima volta e neppure l’ultima, purtroppo, che i raccolti sarebbero stati rovinati da quella calamità temuta da ogni contadino, sia a Grana che a Montemagno che in qualsivoglia altro paese.

Non interessa neppure che vi sia stato chi la caduta della grandine l’abbia negata (Giovanni Varvello, fratello di Don Francesco), come riportato da Don Geremia, parroco di Grana dal 1954 al 1975, a Don Deambrogio. Come non importa che neppure Don Porta nella sua lettera del 1906 a Don Lemoyne non parli di grandine, né a Grana, né altrove.

Quello che è rilevante è ciò che Don Francesia, del quale si è già avuta prova di alcune imprecisioni, e le Memorie Biografiche sostengono in merito al ballo organizzato a Grana: “Nei paesi circonvicini facevansi i commenti e le risa su quella profezia, anzi nel paese di Grana per festeggiare la smentita che il tempo avrebbe dato al prete si era preparata una gran festa da ballo”. Chissà se ai biografi sia mai giunta voce che a Grana la Chiesa parrocchiale è da tempi immemori dedicata all’Assunta e che a cavallo della sua ricorrenza si organizza la festa patronale? Festa che è un insieme di riti religiosi (messa solenne e processione) e festeggiamenti civili, con il ballo in primo piano, soprattutto se si tiene conto dell’epoca. Festeggiamenti che si sono sempre tenuti in più giornate e se poi si tiene conto che il 15 di agosto nel 1864 cadeva di lunedì è fin troppo facile dedurre che non si è organizzato alcunché per sbeffeggiare Don Bosco e quanti erano uniti a lui nella preghiera, ma era tutto organizzato ben da prima che Don Bosco arrivasse a Montemagno per invocare la pioggia.

Col senno di poi, e con tutto il dovuto rispetto per chi ha scritto le numerose memorie su di lui, se si fosse prestata un po’ più di attenzione alle consuetudini di una popolazione, ai suoi usi e alle sue tradizioni si sarebbe potuta evitare un’offesa del tutto gratuita e poco onorevole per chi l’ha provocata.

Curioso, inoltre, che in nessuno dei documenti a suffragio di questi avvenimenti si faccia cenno a quel foglietto stampato a Firenze nei primi mesi del 1934, citato da Don Raiteri quando organizzò i grandi festeggiamenti in onore della canonizzazione di Don Bosco, che polemizzava sui balli di Grana puniti con la grandine.

Resta infine da analizzare un altro fatto, peraltro non riportato da tutti i biografi, e cioè il pervenire del suono della musica alle orecchie di Don Bosco durante la sua predicazione.

È doverosa al riguardo una precisazione che rischia di far cadere nel ridicolo quella testimonianza: il ballo di cui si parla va inteso come un ballo a palchetto (tipico dell’epoca e in auge fino a non molti anni fa) e la musica degli strumenti (pochissimi e comprendenti fisarmonica, clarino e, nella migliore delle ipotesi, anche un sassofono) era difficilmente avvertibile dalle abitazioni del paese situate ai margini del paese di Grana, figuriamoci a 3 chilometri di distanza e all’interno di una Chiesa!

Così come risulta risibile e buffa l’altra testimonianza che vuole la grandine confinata entro i confini di Grana e nessun chicco altrove!

Pertanto non si può certamente sostenere che Don Varvello fu imprudente o azzardato quando sostenne che una parte della storia era stata malamente romanzata.

Pur ribadendo la premessa iniziale volta a non mettere in discussione le Memorie Biografiche, si ritiene necessario porre in risalto le incontrovertibili inesattezze, alcune di queste catalogabili solamente come ridicole, se non risultassero irrispettose e offensive per la popolazione granese. Va da sé che una qualsivoglia biografia, pur se redatta da persona rispettabile, seria e attendibile, non può e non dovrebbe essere considerata come verità assoluta. Non è inverosimile, infatti, che possano comparire nuove testimonianze che vanno a correggere, seppure parzialmente, quanto in precedenza raccolto, così come possano emergere elementi che sono sfuggiti ad una prima analisi, poco importa quale ne possa essere la causa.

Quanto riportato è dovuto per cercare di porre rimedio a ciò che la gente di Grana ritiene ingiusto nei propri confronti, indipendentemente da ciò che ha originato i fraintendimenti.

Non si ha pretesa di ottenere il totale stravolgimento di ciò che riportano le Memorie Biografiche, ma segnalazione di quanto la gente di Grana porta a propria difesa, questo sì.