Tela alla destra della pala d’altare:
San
Francesco da Paola
Rappresenta
San Francesco da Paola, fondatore dell’Ordine dei Minimi (frati abituati a
vivere di elemosina e a cibarsi con alimenti quaresimali, quindi assai poveri),
in preghiera dinnanzi all’apparizione della Vergine Maria raffigurata sotto
forma di un dipinto della Madonna del Buon Consiglio racchiuso in una cornice
dorata ornata da motivi a foglie di acanto con conchiglia centrale e sorretto
da due angeli. Il santo è raffigurato in un paesaggio spoglio, ravvivato solo
da alcuni cespugli, e presenta i caratteristici attributi: l’abito da eremita,
la lunga barba bianca e il bastone. Un’iscrizione sul retro della tela la fa
ricondurre al pittore moncalvese Carlo Gorzio vissuto nel 1700 (non sono noti
gli estremi biografici).
Tela alla sinistra della pala d’altare: San Luigi Gonzaga
I quattro Evangelisti
Sono stati dipinti in origine dal pittore Giuseppe Masoero nel 1864 durante la decorazione della chiesa, fino ad allora semplicemente intonacata. Rappresentano San Matteo e San Giovanni, sul lato sinistro del presbiterio, e San Marco e San Luca, sul lato opposto. In seguito a infiltrazioni d’acqua che li hanno danneggiati sono stati ridipinti nel 1933, quando era parroco Don Raiteri, dal pittore granese Anacleto Laretto.
Vergine col Bambino, S. Giovanni Evangelista e
Santa Margherita
È una tela attribuita a Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, definito il
Raffaello del Piemonte; risale al 1595 circa. È stata commissionata da Mons.
Dott. Don Giovanni De Alessi, parroco di Grana dal 1587 al 1629, in onore dei
genitori. La famiglia dei nobili De Alessi, signori di Viarigi, possedeva già
una cappella all’interno della vecchia chiesa e ne mantenne il patronato anche
in quella nuova, l’attuale. Il dipinto raffigura la Vergine con il Bambino circondata da San Giovanni Evangelista, alla
sua destra, e da Santa Margherita, alla sua sinistra. I personaggi in basso
sono i genitori di Mons. De Alessi, il padre Giorgio, citato come Il Magnifico
nei documenti notarili dell’epoca, e la madre Margherita. San Giovanni è
dipinto con i classici attributi, l’aquila, il suo simbolo, e la coppa, a
testimoniare il tentativo di avvelenarlo con un calice di vino che lui sventò
facendo il segno della croce sulla coppa, dalla quale il veleno uscì sotto
forma di un serpente. Anche Santa Margherita è raffigurata con gli attributi
che la contraddistinguono: la palma a simboleggiare il martirio e il drago, in
realtà il demonio, che la divorò, ma dal cui ventre uscì grazie al semplice
segno della croce. Giorgio De Alessi è rappresentato con indosso l’armatura e
munito di scudo e spada, forse perché a capo della milizia locale. La Vergine
Maria è seduta su un trono e viene invocata, come recita la dedica in basso, in
difesa della Patria, senza specificare contro chi e cosa.
San Sebastiano con San Bovone e San Marcellino
È una tela del 1868 attribuita a Giuseppe Masoero, situata nella
cappella di patronato della famiglia Mazzola. È un dipinto che raffigura il
sacrificio di San Sebastiano trafitto dalle frecce dei miliziani romani. Sulla
sua destra si trova San Bovone e alla sua sinistra San Marcellino, con ai suoi
piedi la mitra papale. Va ricordato che a Grana esiste una collina, verso
Montemagno e Castagnole, che si chiama San Marcellino e della quale il santo è
protettore. Il quadro andò a sostituire nel 1869, per volontà del parroco Don
Bonelli, una tela raffigurante sempre San Sebastiano, ma dipinta da Guglielmo
Caccia (Il Moncalvo). Da segnalare che il quadro del Caccia risulta
presente in tutte le visite pastorali
del Settecento, ma risulta rubato già prima del 1869, data in cui venne
sostituito dall’attuale. Nulla di strano, non fosse che Giuseppe Niccolini, uno
dei più illustri storici del Monferrato, scrive di aver visto nel 1877, quindi
otto anni dopo, un San Sebastiano della Bottega del Caccia depositato in un
ripostiglio, quello che è l’attuale cappella delle reliquie. Ma a rendere ancora
più intricata la vicenda giunge l’inventario di Don Luigi Demartini del 1879 in
cui figura un quadro di San Sebastiano nella sacrestia vecchia. Tela che se
coincidente con quella dei Mazzola non fu rubata, ma semplicemente rimossa
complici alcune compiacenze.
Madonna col Bambino, Sant’Anna e San Gioacchino
È
un dipinto di Giovanni Crosio, pittore di Trino Vercellese, risalente al
1605-1606 circa. La cappella che lo ospita è di patronato della famiglia
Varvello in co-patronato con la famiglia Gino. Il Crosio è stato discepolo di
Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, e per anni lavorò nella sua bottega e
raggiunta la maturità artistica ne diventò uno stretto collaboratore.
La tela, che rende piena giustizia alle qualità pittoriche dell’artista, raffigura Maria Vergine seduta con il Bambino in braccio e alla sua destra la madre, Sant’Anna, nell’atto di porgere una mela al suo nipotino e alla sua sinistra il padre, San Gioacchino. In basso, sul lato sinistro, uno stemma gentilizio riporta alla famiglia Varvello, committente del quadro. E proprio questa famiglia, che ebbe già una cappella di proprio patronato nella vecchia chiesa, ne decise la realizzazione in una sorta di emulazione/competizione con la famiglia De Alessi e la Compagnia del Rosario, entrambi possessori di una cappella.
Madonna del Rosario e donatori
La cappella è dedicata al Santo Rosario ed è stata di patronato della famiglia
Capello. La tela che sovrasta l’altare è attribuita a Guglielmo Caccia (detto
il Moncalvo) e artisti della sua bottega ed è datata 1605-1610 circa. Gli
esperti mettono in risalto differenze qualitative che fanno pensare ad un
inizio dell’opera da parte del maestro e alla sua ultimazione delegata a qualche collaboratore o allievo.
L’elemento di spicco è dato dal piviale (mantello) di papa San Pio V, raffigurato
inginocchiato nella parte inferiore della tela, che presenta raffinati riflessi
di luce non presenti sull’abito della dama di fronte a lui. Dettagli che
evidenziano la bravura del maestro e la mano meno abile dei suoi allievi. Il
dipinto è molto importante dal punto di vista del messaggio religioso che
trasmette e vede nella parte superiore la Vergine col Bambino inserita in una
ghirlanda di rose contenente quindici medaglioni (è ben visibile la pianta di
questo fiore) che rappresentano i Misteri del Rosario. Due putti sono intenti
ad offrire la corona del Rosario, uno a San Domenico, fondatore dell’ordine dei
Domenicani, colui che ricevette dalla Madonna il Santo Rosario, come arma più
efficace contro l’Eresia, l’altro a Santa Caterina da Siena, suora della
Penitenza di San Domenico, ed entrambi promotori di questa preghiera mariana.
San Pio V, nativo di Bosco Marengo in provincia di Alessandria, già descritto
per via del suo piviale, fu il papa che istituì la Lega Santa per combattere
gli Ottomani e in vista della vittoriosa battaglia di Lepanto del 7 ottobre del
1571 invitò la popolazione a recitare il Rosario. In seguito a ciò, un anno
dopo istituì la festa liturgica della Madonna della Vittoria, a cui il suo
successore cambiò il nome in Festa della Madonna del Rosario.
Vale la pena ricordare che i numerosi acquisti di tele, non solo quelle che arricchiscono la Chiesa Parrocchiale, ma anche quelle presenti nel Museo di Arte Sacra, durarono più di due secoli ed iniziarono nel migliore dei modi a cavallo tra il 1500 e il 1600, quindi furono già patrimonio della vecchia Chiesa Parrocchiale.
E come si
può leggere nel libro da cui sono tratte queste informazioni, “Tra li fiumi
Po e Tanaro – Arte e Storia a Grana Monferrato”, del quale ha curato la
presentazione l’architetto Bruno Signorelli, all'epoca presidente della
Società di Archeologia e Belle Arti di Torino, recentemente scomparso: “fu lo
stesso scopo per cui quelle opere furono dipinte all’origine a salvarle dalla
distruzione durante l’Illuminismo, ossia quello di insegnare a gente molto
spesso umile il messaggio religioso nella maniera più chiara possibile. Un
proposito che mosse la mano artistica del Caccia più di quattro secoli fa e che
i granesi di ieri scelsero di condividere con quelli di oggi”. “Un insieme di opere che fanno parte di una
serie di acquisti durata oltre due secoli ed iniziata, si presume, sul finire
del 1500 e in numero indubbiamente consistente per una piccola comunità come
quella di Grana”. Una comunità che, va rimarcato, ha dimostrato sin da
subito il suo attaccamento all’importante patrimonio pittorico, tale da
accompagnarlo fino ai giorni nostri in ottimo stato di conservazione,
nonostante i secoli trascorsi.