Il patrimonio pittorico della Chiesa

Va posto in rilievo come la Chiesa Assunzione di Maria Vergine contenga numerose opere pittoriche, alcune di assoluto rilievo artistico e storico di artisti quali Guglielmo Caccia, detto Il Moncalvo, e della sua bottega; di Giovanni Crosio; Carlo Gorzio; Giuseppe Masoero; Anacleto Laretto.
Altre importanti tele sono presenti nell'attiguo museo di Arte Sacra (vedi qui), dove sono presenti, oltre a dipinti degli stessi artisti, opere di Giorgio Alberini (il pittore artefice degli affreschi in numerose cappelle del percorso devozionale al Sacro Monte di Crea); Antonio Laveglia, Vittorio Amedeo Grassi.

Tele presenti nell'abside soprastanti il coro
Pala d'altare: Assunzione di Maria Vergine
È attribuita a Carlo Gorzio, pittore nato a Moncalvo nel 1700 (non si conoscono gli estremi biografici), ed è stata realizzata nel 1776 su commissione della famiglia Testa, della quale è riportato, nella parte inferiore sinistra, lo stemma gentilizio; rappresenta un’opera importante nell’intero catalogo dell’artista. Proprio per questo motivo la comunità di Grana, pur riconoscendo i meriti del donatore, manifestò numerose perplessità ad accettare il dipinto. Il committente fu quasi certamente Giovanni Battista Testa che la volle “d’altezza di piedi dieci, e mezzo, e di larghezza piedi cinque”, per il resto non è stato possibile reperire altri specifici documenti sulla committenza. Sul retro della tela è presente una iscrizione che riporta il nome dell’autore e la data di realizzazione. Tipica della pittura classicista è la posizione della Vergine con le braccia aperte e gli occhi rivolti al cielo, così come quella degli angeli a circondarla. Anche la composizione della tela nella parte inferiore si attiene agli stessi principi, e, infatti, Paolo appare seduto, nella parte sinistra del dipinto, con una mano sul petto e l’altra intenta a sorreggere un libro, mentre ai suoi piedi si trova la spada, simboli, il primo della “parola di Dio”, il secondo del suo martirio tramite decapitazione. Pietro è sulla parte destra, dietro al sacello innalzato su un gradino, le braccia piegate a reggere un lenzuolo su cui sono posate delle rose, ai suoi piedi le chiavi del regno dei cieli, simbolo dell’autorità papale.


Tela alla destra della pala d’altare: San Francesco da Paola
Rappresenta San Francesco da Paola, fondatore dell’Ordine dei Minimi (frati abituati a vivere di elemosina e a cibarsi con alimenti quaresimali, quindi assai poveri), in preghiera dinnanzi all’apparizione della Vergine Maria raffigurata sotto forma di un dipinto della Madonna del Buon Consiglio racchiuso in una cornice dorata ornata da motivi a foglie di acanto con conchiglia centrale e sorretto da due angeli. Il santo è raffigurato in un paesaggio spoglio, ravvivato solo da alcuni cespugli, e presenta i caratteristici attributi: l’abito da eremita, la lunga barba bianca e il bastone. Un’iscrizione sul retro della tela la fa ricondurre al pittore moncalvese Carlo Gorzio vissuto nel 1700 (non sono noti gli estremi biografici).


Tela alla sinistra della pala d’altare: San Luigi Gonzaga

È attribuita al pittore di Moncalvo Carlo Gorzio, vissuto nel 1700 (non sono noti gli estremi biografici). Raffigura San Luigi Gonzaga in ginocchio dinnanzi all’apparizione della Vergine Immacolata, rappresentata come dama dell’Apocalisse. La Madonna è raffigurata con i suoi simboli più caratteristici: sotto un suo piede la luna crescente, simbolo di castità, e un serpente calpestato, il bene che trionfa sul male. Il santo ha ai suoi piedi gli attributi che lo contraddistinguono: il giglio, simbolo per antonomasia di purezza e dell’intenso profumo che il suo corpo emanò dopo la morte; il libro delle preghiere; lo scettro e la corona, simboli della sua rinuncia al titolo di marchese.

Affresco del semicatino dell'abside

Cristo trionfante e Santi
È opera del pittore Giuseppe Masoero e raffigura il percorso devozionale del paese di Grana. L’insieme è su tre piani digradanti arricchiti da nuvole volte a dare un certo senso di tridimensionalità. Nella parte più alta,  racchiuso in un semicerchio, è raffigurato Dio Padre, mentre subito al disotto, nella parte centrale troviamo Gesù Cristo che indica la croce e alla sua destra Pietro e alla sua sinistra Paolo, i pilastri della Chiesa. Nella parte inferiore, al centro, due angeli di fattezze femminili che portano rami di palma e gigli. Alla destra degli angeli, partendo dall’esterno, troviamo Santo Stefano, a cui è intitolata una piccola cappella votiva all’ingresso del paese, provenendo da Calliano, all’inizio di corso Garibaldi un tempo nota come via Santo Stefano. Con il saio scuro è raffigurato San Rocco, a cui è dedicata la chiesetta ai margini sud del paese, chiesetta che durante l’epidemia di peste del 1630 (quella descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi) fu utilizzata come lazzaretto. Giova ricordare che il santo è anche protettore contro le malattie contagiose. Accanto a lui, inginocchiato, troviamo Sant’Antonio Abate, fondatore in Italia del monachesimo. A lui è dedicata la chiesetta posta i piedi della salita di via Roma, come risulta dai verbali di più visite pastorali del passato, anche se al suo interno è presente una statua di Sant’Antonio da Padova. Nell’altro gruppo di santi sono raffigurati, partendo dal centro, San Pietro Martire, frate domenicano inquisitore contro gli eretici a cui era dedicata una chiesetta che si trovava nei pressi del ristorante Roma, abbattuta negli anni ’70. Il santo con il saio scuro è San Bernardino, mentre sopra di loro è raffigurato San Silverio papa, a cui è dedicato un pilone votivo in aperta campagna, all’ingresso del paese giungendo da Calliano. I morti di peste durante l’epidemia del 1630 non venivano sepolti in paese per paura del contagio, ma erano seppelliti intorno a questa cappelletta.
 

Cappella del Sacro Cuore

Vergine col Bambino, S. Giovanni Evangelista e Santa Margherita
È una tela attribuita a Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, definito il Raffaello del Piemonte; risale al 1595 circa. È stata commissionata da Mons. Dott. Don Giovanni De Alessi, parroco di Grana dal 1587 al 1629, in onore dei genitori. La famiglia dei nobili De Alessi, signori di Viarigi, possedeva già una cappella all’interno della vecchia chiesa e ne mantenne il patronato anche in quella nuova, l’attuale. Il dipinto raffigura la Vergine con il Bambino circondata da San Giovanni Evangelista, alla sua destra, e da Santa Margherita, alla sua sinistra. I personaggi in basso sono i genitori di Mons. De Alessi, il padre Giorgio, citato come Il Magnifico nei documenti notarili dell’epoca, e la madre Margherita. San Giovanni è dipinto con i classici attributi, l’aquila, il suo simbolo, e la coppa, a testimoniare il tentativo di avvelenarlo con un calice di vino che lui sventò facendo il segno della croce sulla coppa, dalla quale il veleno uscì sotto forma di un serpente. Anche Santa Margherita è raffigurata con gli attributi che la contraddistinguono: la palma a simboleggiare il martirio e il drago, in realtà il demonio, che la divorò, ma dal cui ventre uscì grazie al semplice segno della croce. Giorgio De Alessi è rappresentato con indosso l’armatura e munito di scudo e spada, forse perché a capo della milizia locale. La Vergine Maria è seduta su un trono e viene invocata, come recita la dedica in basso, in difesa della Patria, senza specificare contro chi e cosa.

Cappella dedicata a San Sebastiano

San Sebastiano con San Bovone e San Marcellino
È una tela del 1868 attribuita a Giuseppe Masoero, situata nella cappella di patronato della famiglia Mazzola. È un dipinto che raffigura il sacrificio di San Sebastiano trafitto dalle frecce dei miliziani romani. Sulla sua destra si trova San Bovone e alla sua sinistra San Marcellino, con ai suoi piedi la mitra papale. Va ricordato che a Grana esiste una collina, verso Montemagno e Castagnole, che si chiama San Marcellino e della quale il santo è protettore. Il quadro andò a sostituire nel 1869, per volontà del parroco Don Bonelli, una tela raffigurante sempre San Sebastiano, ma dipinta da Guglielmo Caccia (Il Moncalvo). Da segnalare che il quadro del Caccia risulta presente in tutte le visite pastorali del Settecento, ma risulta rubato già prima del 1869, data in cui venne sostituito dall’attuale. Nulla di strano, non fosse che Giuseppe Niccolini, uno dei più illustri storici del Monferrato, scrive di aver visto nel 1877, quindi otto anni dopo, un San Sebastiano della Bottega del Caccia depositato in un ripostiglio, quello che è l’attuale cappella delle reliquie. Ma a rendere ancora più intricata la vicenda giunge l’inventario di Don Luigi Demartini del 1879 in cui figura un quadro di San Sebastiano nella sacrestia vecchia. Tela che se coincidente con quella dei Mazzola non fu rubata, ma semplicemente rimossa complici alcune compiacenze.

Cappella dedicata a Sant'Anna

Madonna col Bambino, Sant’Anna e San Gioacchino
È un dipinto di Giovanni Crosio, pittore di Trino Vercellese, risalente al 1605-1606 circa. La cappella che lo ospita è di patronato della famiglia Varvello in co-patronato con la famiglia Gino. Il Crosio è stato discepolo di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, e per anni lavorò nella sua bottega e raggiunta la maturità artistica ne diventò uno stretto collaboratore.

La tela, che rende piena giustizia alle qualità pittoriche dell’artista, raffigura Maria Vergine seduta con il Bambino in braccio e alla sua destra la madre, Sant’Anna, nell’atto di porgere una mela al suo nipotino e alla sua sinistra il padre, San Gioacchino. In basso, sul lato sinistro, uno stemma gentilizio riporta alla famiglia Varvello, committente del quadro. E proprio questa famiglia, che ebbe già una cappella di proprio patronato nella vecchia chiesa, ne decise la realizzazione in una sorta di emulazione/competizione con la famiglia De Alessi e la Compagnia del Rosario, entrambi possessori di una cappella.

Cappella del Rosario

Madonna del Rosario e donatori 
La cappella è dedicata al Santo Rosario ed è stata di patronato della famiglia Capello. La tela che sovrasta l’altare è attribuita a Guglielmo Caccia (detto il Moncalvo) e artisti della sua bottega ed è datata 1605-1610 circa. Gli esperti mettono in risalto differenze qualitative che fanno pensare ad un inizio dell’opera da parte del maestro e alla sua ultimazione  delegata a qualche collaboratore o allievo. L’elemento di spicco è dato dal piviale (mantello) di papa San Pio V, raffigurato inginocchiato nella parte inferiore della tela, che presenta raffinati riflessi di luce non presenti sull’abito della dama di fronte a lui. Dettagli che evidenziano la bravura del maestro e la mano meno abile dei suoi allievi. Il dipinto è molto importante dal punto di vista del messaggio religioso che trasmette e vede nella parte superiore la Vergine col Bambino inserita in una ghirlanda di rose contenente quindici medaglioni (è ben visibile la pianta di questo fiore) che rappresentano i Misteri del Rosario. Due putti sono intenti ad offrire la corona del Rosario, uno a San Domenico, fondatore dell’ordine dei Domenicani, colui che ricevette dalla Madonna il Santo Rosario, come arma più efficace contro l’Eresia, l’altro a Santa Caterina da Siena, suora della Penitenza di San Domenico, ed entrambi promotori di questa preghiera mariana. San Pio V, nativo di Bosco Marengo in provincia di Alessandria, già descritto per via del suo piviale, fu il papa che istituì la Lega Santa per combattere gli Ottomani e in vista della vittoriosa battaglia di Lepanto del 7 ottobre del 1571 invitò la popolazione a recitare il Rosario. In seguito a ciò, un anno dopo istituì la festa liturgica della Madonna della Vittoria, a cui il suo successore cambiò il nome in Festa della Madonna del Rosario.



Vale la pena ricordare che i numerosi acquisti di tele, non solo quelle che arricchiscono la Chiesa Parrocchiale, ma anche quelle presenti nel Museo di Arte Sacra, durarono più di due secoli ed iniziarono nel migliore dei modi a cavallo tra il 1500 e il 1600, quindi furono già patrimonio della vecchia Chiesa Parrocchiale.

E come si può leggere nel libro da cui sono tratte queste informazioni, “Tra li fiumi Po e Tanaro – Arte e Storia a Grana Monferrato”, del quale ha curato la presentazione l’architetto Bruno Signorelli, all'epoca presidente della Società di Archeologia e Belle Arti di Torino, recentemente scomparso: “fu lo stesso scopo per cui quelle opere furono dipinte all’origine a salvarle dalla distruzione durante l’Illuminismo, ossia quello di insegnare a gente molto spesso umile il messaggio religioso nella maniera più chiara possibile. Un proposito che mosse la mano artistica del Caccia più di quattro secoli fa e che i granesi di ieri scelsero di condividere con quelli di oggi”. “Un insieme di opere che fanno parte di una serie di acquisti durata oltre due secoli ed iniziata, si presume, sul finire del 1500 e in numero indubbiamente consistente per una piccola comunità come quella di Grana”. Una comunità che, va rimarcato, ha dimostrato sin da subito il suo attaccamento all’importante patrimonio pittorico, tale da accompagnarlo fino ai giorni nostri in ottimo stato di conservazione, nonostante i secoli trascorsi.